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#82 – E se normativa e tecnologia non trovano la quadra?

Mi è capitato tante volte di essere interpellato da un responsabile tecnico perché, per esigenze di progetto, dovute alla volontà del responsabile, o direttamente imposte dalla normativa, era necessario inserire un dispositivo di sicurezza termica, purtroppo però la temperatura richiesta non esisteva sul mercato…

Sappiamo in certe circostanze è necessario inserire un dispositivo di sicurezza termica. Ciò significa che deve intervenire a una temperatura prestabilita ma non si deve riarmare se non per volontà e intervento di un operatore. Ne esistono di diversi tipi come, ad esempio, i termofusibili. Però questi, essendo dispositivi monouso (Articolo 10 e 74) e di estrema sicurezza, una volta intervenuti non si riarmeranno. Inoltre arrivano al massimo a 240°C nella versione standard e in casi particolari 260°C o 280°C. 

Un’alternativa potrebbe essere offerta dai TK32OS (“Termostati one-shot”) che possono raggiungere una temperatura d’intervento di 425°C. Ma le condizioni affinché si verifichi un ripristino sono così estreme da definire questo termostato un monouso e questo rende necessario sostituire il componente dopo il suo intervento.

Le due soluzioni appena esaminate sono forme di sicurezza estrema, nel senso che solo in casi estremi dovranno intervenire. Fondamentalmente ci si aspetta che non vengano mai chiamati in causa.

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Ecco allora che la soluzione ideale diventa il termostato bimetallico a riarmo manuale, per intenderci il TK32. Sappiamo bene però che la temperatura massima alla quale può intervenire è di 250°C. Quindi tutto è perfetto quando restiamo all’interno di queste prestazioni, ma cosa possiamo fare quando invece le temperature in gioco sono molto più alte? Se abbiamo ad esempio un intervento a 350°C come proteggiamo la nostra macchina?

In questo caso una soluzione molto diffusa tra i tecnici è quella di applicare un escamotage e di giocarsela sulla posizione, ricordate? 

Facciamo un breve ripasso.

In questo nostro articolo scrivevamo che il “termostato bimetallico, anche definito termostato a contatto, interviene in funzione della temperatura che rileva nel punto in cui è posizionato”. Quindi nello stesso momento e nello stesso ambiente, ma in punti diversi, possono essere rilevate temperature diverse.

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Osservando la figura sotto vediamo una fonte di calore, un piano omogeneo, tre punti di rilevamento della temperatura e due termostati TK, uno automatico (A) e l’altro manuale (C). Ovviamente è un esempio privo di qualsiasi senso costruttivo, ma fatto esclusivamente per chiarire il concetto. Possiamo vedere che i tre diversi punti di rilevamento leggono tre diverse temperature, nello stesso istante ma semplicemente in punti diversi.

Ecco la soluzione. Se normalmente abbiamo un termostato che lavora e una sicurezza che interviene a una temperatura più alta, nel nostro caso dovremo fare l’inverso, vale a dire a fronte di una temperatura di lavoro, che potremmo ipotizzare di 350°C (vedi il punto A) e rilevata nel punto più vicino alla fonte di calore, avremo una sicurezza che interverrà a una temperatura più bassa, nell’esempio ho messo 250°C (punto C), ma questo sarà possibile e avrà un senso solo se la sicurezza verrà posizionata in un punto diverso da quello del termostato di lavoro. In questo modo abbiamo sia il termostato di lavoro che quello di sicurezza, come progettano i tecnici e come, in alcuni casi, pretende la normativa. 

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Questa soluzione deve però rispettare tre condizioni particolari:

1) Costanza nella lettura, che deve essere sempre la medesima negli stessi punti, o comunque con le stesse proporzioni. Non possono esserci letture diverse effettuate in momenti diversi a meno che non rispettino le stesse proporzioni. Riferendoci al disegno di prima possiamo rilevare 300°C nel punto A, ma dovranno essercene circa 250°C nel punto B e 200°C nel punto C, o più in generale dovremo essere sicuri che se nel punto A ho 350°C nel punto C ne devo avere 250°C e quando ho 300°C nel punto A ne dovrò avere 200 nel punto C.

Di conseguenza se dovesse capitare che rilevo 300°C nel punto A, e 120°C o 350°C nel punto significherà che il punto C non potrà essere un riferimento nella nostra prova e ne dovremo trovare un altro più coerente. Penso di non dover chiarire che i numeri li sto ipotizzando, senza nessun reale valore oggettivo.

2) Prestare la massima attenzione alla temperatura ambiente e assicurarsi che non superi mai le massime temperature alle quali possono essere esposti i diversi prodotti.

3) In funzione del punto 2 valutare attentamente l’inerzia termica.

Come non mi stancherò mia di dire e di ripetere, prima di omologare un prodotto e le rispettive temperature il responsabile tecnico (l’unico autorizzato ad effettuare questo tipo di scelte) dovrà avere fatto e ripetuto più volte i test ed essere sicuro del risultato, prima di poter passare al “campo” con la preserie.

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